Tutto questo era ed é Masseria San Giovanni - I Luoghi di Pitti - Altamura (BA)

Vivere in grotta
Il fenomeno del vivere in grotta, cioè della cosiddetta civiltà rupestre, comune a tutta l’area mediterranea, caratterizza fortemente l’Italia meridionale e la Puglia in particolare. Molte aree in cui sono poi sorti insediamenti rupestri testimoniano un’ininterrotta presenza dell’uomo a partire dalle epoche preistoriche, come confermano i dati provenienti dalle indagini archeologiche; proprio Masseria S. Giovanni rappresenta un interessante esempio di sito con una stratificazione storica che risale indietro nel tempo, fino all’età neolitica (circa 5000 anni a.C.). Sul pianoro antistante l’edificio principale, infatti, sono stati rinvenuti resti di un villaggio neolitico, con capanne, strutture per la conservazione (silos), tombe; nelle aree immediatamente circostanti la masseria sono documentati ritrovamenti dell’età dei metalli e di età classica. In età medievale dovette sorgere il primo nucleo dell’insediamento rurale, quando furono ricavati, scavando la superficie tufacea del piano di campagna, i diversi complessi ipogeici; adiacente ad uno di questi si innesta il primo impianto dell’edificio in muratura, che risale almeno al XVI secolo e che si svilupperà occupando un’ampia superficie e inglobando al di sotto le grotte stesse. I complessi ipogeici di pertinenza della masseria sono attualmente quattro; realizzati nel banco calcarenitico di cui è costituito il leggero rilievo su cui si eleva la costruzione. Le grotte assolvevano alle diverse funzioni ed esigenze dell’allevamento e della coltivazione dei campi, essendo utilizzate per il ricovero del bestiame, quindi come ovili o come stalle per bovini, oppure come deposito di paglia, di attrezzi, ecc. ma va anche ricordata la funzione abitativa e di ricovero per gli addetti alle varie attività dell’azienda agricola, cui rimanda la presenza di ripiani, ricavati lungo le pareti, destinati all’utilizzo come giacigli o come sedili e nicchie come ripostigli. Nel complesso cosiddetto della neviera, i cui ambienti sono stati resi intercomunicanti con il pozzo e con la neviera stessa, probabilmente quando questi persero la loro antica funzione, si può ancora oggi osservare alla base di quello che costituiva originariamente il piano inclinato di accesso alle grotte, una struttura destinata allo stoccaggio dei cereali (fossa granaria) e una piccola nicchia sulla parete opposta. I lunghi anni di abbandono hanno cancellato i segni di strutture come mangiatoie, tramezzi di pietre a secco, abbeveratoi in pietra ecc.




Pozzi e piscine
La conformazione fisica dell’Alta Murgia e la natura carsica del territorio rendono quasi impossibile la permanenza dell’acqua in superficie, alimentando per converso un ricco sistema di falde sotterranee che defluisce verso il mare. Per questo, fin dal più remoto passato gli abitanti della Murgia si sono ingegnati per assicurarsi un sufficiente approvvigionamento idrico per gli usi domestici e produttivi. Nelle campagne, ogni masseria era dotata di strutture destinate alla raccolta delle acque piovane, essendo rari in questo territorio i pozzi sorgivi. I pozzi, scavati nella tenera roccia calcarenitica (tufo) e impermeabilizzati con uno strato di intonaco (come è ancora visibile nel pozzo qui conservatosi), accumulavano le acque convogliate dagli articolati sistemi di tetti, grondaie e canalizzazioni degli edifici, oppure drenate tramite pendenze e confluenze naturali. Sono molto frequenti poi le cosiddette piscine, dedicate soprattutto all’abbeveraggio degli animali da pascolo; si tratta di grandi cisterne, che appaiono quasi come case affondate nel terreno, costruite in pietra calcarea, con volta a botte, copertura a due spioventi formata da lastre di pietra calcarea, spesso dotate di vasche di decantazione.




Neviere
Collocate nelle periferie urbane o adagiate solitarie nelle campagne, le neviere costituivano fino a tempi non molto remoti grandi riserve di ghiaccio, create raccogliendo la neve ancora fresca e pulita, che frequentemente imbiancava l’altopiano delle Murge durante i lunghi e rigidi inverni. Sono spesso confuse con le piscine (cisterne d’acqua) e in effetti presentano una struttura architettonica simile, essendo costituite da un edificio di forma parallelepipeda, ma sono ben più profonde, con volta a botte e copertura di terriccio, con funzione di isolamento termico dalle alte temperature estive. La neve veniva caricata all’interno attraverso la bocca (chiave) posta sulla sommità della volta, mentre le aperture laterali erano utilizzate poi per il prelievo del ghiaccio. Sul fondo veniva formato un graticcio di sarmenti allo scopo di isolare la neve dal suolo, prevenendone l’inquinamento e rallentandone lo scioglimento; un tubo serviva ad espellere l’acqua che si accumulava sul fondo. Era necessario comprimere il più possibile la neve, perché in tal modo si sfruttava al massimo lo spazio del contenitore e allo stesso tempo la maggiore compattezza favoriva il consolidamento e la conservazione della massa di ghiaccio. Da maggio ad ottobre avveniva la commercializzazione, fonte di cospicui guadagni per i proprietari e per le amministrazioni pubbliche. Il prezzo era fissato in base alla purezza della neve, che poteva essere bianca, ricettibile, mangiabile, da bicchiere, quest’ultima la più pregiata. L’esportazione era rivolta per lo più verso i paesi costieri della provincia di Bari ma anche verso il Salento. Erano importanti le modalità di imballaggio e trasporto e i tempi di questo commercio. I blocchi di ghiaccio erano tagliati all’imbrunire, avvolti in sacchi di tela e immersi nella paglia finissima per assicurare la massima coibentazione. Il trasporto doveva avvenire velocemente e senza soste, poiché un qualsiasi imprevisto avrebbe potuto gravemente danneggiare l’affare, sia per il venditore che per l’acquirente. Il ghiaccio serviva per refrigerare particolari cibi e bevande, per la preparazione di sciroppi, gelati, sorbetti ecc. e inoltre era utilizzato per scopi medici e farmaceutici.




Fosse granarie
Il sistema di conservazione dei cereali e di altre derrate alimentari in silos sotterranei risulta largamente utilizzato in molte aree del bacino del Mediterraneo sin dai tempi preistorici. Ne abbiamo un esempio proprio nel sito ove sorge Masseria S. Giovanni, dove sono stati identificati i resti di un villaggio di età neolitica. In età storica sono molto frequenti negli atti di compravendita e locazione di immobili in area urbana in Altamura riferimenti a fosse destinate alla conservazione di vittuaglie, ma erano molto comuni anche negli insediamenti rurali, soprattutto in quelle aree dove la presenza del banco tufaceo favoriva la creazione di ampi complessi ipogeici, che integrati con edifici in muratura, sopperivano alle numerose funzioni e esigenze delle aziende agro-pastorali. Le fosse granarie erano scavate per una profondità media di un paio di metri, conformate a campana, rivestite a volte di un sottile strato di intonaco, chiuse con una lastra di pietra poggiata sulla bocca. Una volta sigillata, l’ossigeno all’interno della cavità si diradava, sostituito dall’anidride carbonica, cosicché i chicchi di grano risultavano protetti dall’attacco di microrganismi, parassiti e piccoli roditori. Questo ambiente, stabile per temperatura e umidità, garantiva una lunga conservazione dei prodotti, a condizione che vi fossero stati immessi ben asciutti.




Forni a legna

All’interno del complesso ipogeico antistante il prospetto principale di Masseria S. Giovanni, si è voluto dedicare uno spazio per la creazione di un forno a legna tradizionale per la cottura del pane, manufatto architettonico determinante per la confezione del prodotto simbolo della cultura alimentare murgiana; esso è stato realizzato da un anziano mastro muratore, secondo tempi, modi, procedure e materie peculiari di una tradizione specifica. Le metodologie, le tecniche, le prassi di una volta, trasmesse per secoli nella tradizione altamurana, come attestato da diversi riferimenti contenuti in documenti conservati negli archivi locali, sono state fedelmente applicate dal mastro muratore Michele Caputo il quale, dopo aver progettato il nuovo forno, si è personalmente recato nelle cave ubicate nei dintorni per scegliere e approvvigionarsi dei materiali occorrenti: tufo, mazzaro, terra rossa, fondamentali per la buona riuscita dell’opera. Gli accorgimenti tecnici, l’accuratezza nei dettagli della costruzione, la bellezza della semplice architettura dell’umile manufatto sono frutto della grande esperienza del mastro muratore, custode dell’antica sapienza e delle conoscenze apprese di padre in figlio, un patrimonio di inestimabile valore che si è voluto far rivivere con questa operazione, documentandone le varie fasi di realizzazione in un filmato.

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